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Oggi incappare in sbandamenti selettivi nell’allevamento è un rischio presumibile, essendo l’Allevatore sempre più privato delle verifiche morfo-funzionali e attitudinali offerte, un tempo, dal reale impiego delle razze canine. Una breve cronistoria ci permette di identificare meglio i motivi di questa mia preoccupazione. Il lupo, proveniente da una selezione di canidi, in tempi biologicamente recenti, circa 300.000 anni fa, diede origine a un animale genericamente definito dagli zoologi “cane domestico “. L’uomo, plasmando i suoi istinti, generò la varietà delle razze correlandole alla costruzione anatomica più consona, a volte raccolta dall’insorgere di inattese mutazioni. Differenziazioni imposte non da regole scritte ma dalle esigenze degli utilizzi nei quali questo animale venne impiegato: un cane da difesa doveva essere forte e coraggioso, un cane da caccia dotato di grande fiuto e predatore, un cane da tana piccolo e tenace, un cane da gregge conduttore della pecora e vigile col predatore, cane forte e resistente per trainare la slitta. Proprio la notevole duttilità genetica di questa specie, probabilmente influenzata dalla fusione originale di svariati canidi, ha permesso di catalogare un lungo elenco di razze mentre altre continuano a pretendere il riconoscimento della loro identità. Purtroppo l’avanzare della civiltà riduce gli effetti della matrice selettiva spontanea e, per la conservazione delle razze, ci si attiene al rispetto di regole scritte: gli standard di razza. È un inconveniente che patisce non solo la selezione del cane, ma anche quella degli animali selvatici che, invece di nutrirsi con le risorse del loro habitat naturale, sopravvivono ora con i rifiuti delle grandi città, divenuti più facilmente raggiungibili di un’astuta e agile preda della foresta, incentivando una degenerazione di cui non è facile prevedere gli sviluppi. La mancanza di una verifica suggerita dall’impiego invoglia gli Allevatori a incrementare pregi e vezzi atti a solleticare i favori del Giudice. Considerando che la specie del cane conta più di 500 varietà, questa tendenza porta a superare i fragili confini della tipicità di ogni razza. È vero che le molte prove pratiche oggi cercano di salvaguardare l’attitudine originale delle razze, ma raramente la selezione tende a fruire degli impulsi e delle doti dei soggetti sottoposti a questi impegni perché i soggetti da loro derivati, privilegiando spiccate attitudini agonistiche, tendono a chiudersi in una selezione fine a se stessa e, quasi sempre, sono dotati di costruzioni meno raffinate e lontane dagli ideali nei quali si ricercano i migliori modelli della razza. Avere la pretesa di offrire una ricetta che eviti di imbattersi in sbandamenti selettivi sarebbe presuntuoso, mentre è lecito segnalare il pericolo e riassumere gli attuali propositi ai quali l’Allevatore dovrebbe attenersi e, con lui, anche il Giudice. La grande concorrenza e la diffusione delle esposizioni canine, alcune divenute l’incontro di migliaia di soggetti e momenti di mondanità, inducono a esasperare l’apprezzamento delle caratteristiche di pregio, allettando la pressione selettiva a promuovere esagerazioni invece di ravvisare il pregio nella giusta misura. Una cautela che dovrebbe far ritenere la buona conformazione di una regione non un “pregio” ma la “norma”, evitando le esaltazioni che possono forzare i motivi che l’hanno fatta elogiare. Milo, grande scultore e maestro dell’armonia, modellando proporzioni, seno e glutei della sua Venere, seppe limitarne il dosaggio senza cadere in quelle tentazioni che avrebbero potuto, per formare un’ideale bellezza femminile, indurlo a sottolineature inutili. A questi stessi principi si attenne Mirone scolpendo il suo discobolo. Entrambi gli artisti plasmarono l’immagine di una donna e di un uomo che, con esemplare normalità, esprimevano un pregio assoluto. Valutando una razza, dobbiamo la principale attenzione alla sua costituzione perché è l’emblema del giusto funzionamento endocrino che ha generato l’insorgere delle forme che si traducono nei tipi costituzionali fondamentali: brachimorfo, mesomorfo, dolicomorfo, analicomorfo. Questi sono contrassegni che vanno apprezzati come matrici dell’essenza di ogni razza. I mastini con una costituzione dolicomorfa non potrebbero mai essere tali né, tantomeno, i levrieri lo potrebbero con una costituzione brachimorfa. D"altrettanta importanza è il rispetto della taglia indicata dallo standard della razza che, attraverso la dimensione totale, condiziona la predisposizione dinamica. Non meno importante è il peso che, rapportato con l’altezza, caratterizza la massa che influenza l’azione morfo-funzionale della razza. Un cane alto, con lunge zampe può essere veloce, ma lo stesso cane, dotato di un torace molto spazioso, imponente muscolatura e forte ossatura diviene lento e potente. Rimane ancora l’annoso problema delle attitudini sondate con le prove d’utilità che assolvono il ruolo di affascinanti impegni agonistici. Perché ogni razza tragga suggerimenti attitudinali da queste indagini, le prove non dovrebbero essere formulate con complicate esecuzioni sostenibili solo dopo costosi e laboriosi addestramenti, ma programmate con facili test cui sia agevole sottoporre le razze, consentendo un’indagine generale delle attitudini, molto più utili alla selezione, per derivarne i migliori indirizzi e per mantenere, nella massa, le doti peculiari di ciascuna razza. Per questi motivi, oggi più che mai, penso che per l’Allevatore ed il Giudice, accanto all’acquisizione delle normali nozioni zootecniche e zoognostiche, dovrebbe proporsi anche la conoscenza delle razze di loro non usuale pertinenza, per meglio comprendere i confini entro i quali esercitare la propria selezione o le proprie scelte. Quest’arricchimento permetterebbe di non imbattersi in quelle deformazioni che storpiano il tipo ideale che si ottiene rispettando precise informazioni zoometriche ed estetiche, evitando esasperati rinforzi dannosi all’immagine delle razze, ma soprattutto all’impiego. Piero AlquatiCOMPOSIZIONE
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